Le motivazioni della condanna a 6 anni e 4 mesi per Loredana Canò: “Diventata il suo alter ego, ha escluso le figlie e gestito il patrimonio”
MILANO – Da confidente e compagna di cella a figura dominante nella vita di Patrizia Reggiani, fino al punto di prenderne il controllo totale. È questo il quadro che emerge dalle motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano, che lo scorso luglio ha condannato Loredana Canò, 59 anni, a 6 anni e 4 mesi di carcere per circonvenzione di incapace e peculato. Al centro del processo, la gestione dell’ingente eredità lasciata a Reggiani dalla madre, Silvana Barbieri.
Nelle oltre 80 pagine di motivazioni, i giudici della settima sezione penale (presieduta da Gallina-Malatesta-Clemente) descrivono Canò come una donna capace di inserirsi nella vita della vedova Gucci fino a diventare il suo “alter ego”. Dopo la morte della madre di Reggiani, nel 2018, l’ex amica è riuscita ad assumere “il completo controllo della sua esistenza”, sostituendosi alla rete familiare e sociale originaria con una nuova cerchia definita dai giudici come una “seconda famiglia”, composta anche da professionisti coinvolti nella vicenda.
Una rete di controllo: “Guerra alle figlie”
Secondo la ricostruzione, Canò – assieme al consulente finanziario Marco Chiesa (condannato a 5 anni e 8 mesi) e all’avvocato Daniele Pizzi (che ha patteggiato 2 anni) – avrebbe convinto Reggiani a tagliare ogni rapporto con le figlie, Alessandra e Allegra, che hanno poi presentato denuncia dando il via all’inchiesta. Il punto di svolta sarebbe stato l’ingresso dell’avvocato Pizzi come amministratore di sostegno, in sostituzione della figura nominata in precedenza.
I giudici sottolineano come Patrizia Reggiani non fosse, a causa della sua patologia psichica, in grado di compiere scelte autonome riguardanti la gestione del proprio patrimonio. Una condizione che sarebbe stata sfruttata da Canò per ottenere un “illecito vantaggio personale”, simulando una dedizione disinteressata.
Le condanne e le assoluzioni
Oltre alle pene detentive, il tribunale ha disposto risarcimenti economici:
- Canò e Chiesa dovranno versare 50.000 euro in solido alle figlie di Reggiani;
- Canò, inoltre, dovrà pagare 75.000 euro direttamente alla stessa Reggiani;
- Risarcite anche due società, una delle quali rappresentata dall’avvocato Enrico Giarda.
Sono stati invece assolti per insussistenza del fatto i commercialisti Mario Wiel Marin e Marco Moroni, accusati inizialmente di corruzione.
“Una vicenda predatoria”
La vicenda, ha spiegato il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, rappresenta un caso emblematico di manipolazione e approfittamento ai danni di una persona fragile:
“Una storia che ha assunto fattezze predatorie. Chi ha agito ha individuato una preda debole e ha progressivamente perso ogni ritegno o umana empatia nei suoi confronti.”
Nella sentenza si legge chiaramente la “gravità del danno patrimoniale” causato alla Reggiani e la “assenza di scrupoli” mostrata da Canò nel simulare attenzione e affetto, mentre in realtà mirava a isolare e controllare ogni aspetto della sua esistenza.
Il caso aggiunge un nuovo capitolo all’inquietante biografia di Patrizia Reggiani, condannata a 26 anni per l’omicidio del marito Maurizio Gucci, assassinato nel 1995 in via Palestro a Milano. Questa volta, però, è lei la vittima.







