Il governo sta ragionando su una possibile accelerazione sulla riforma della legge elettorale: l’ipotesi, che circola negli ultimi giorni, è quella di presentare un testo già a inizio anno, subito dopo l’approvazione della legge di Bilancio e prima del referendum sulla separazione delle carriere. Un’altra strada, invece, sarebbe attendere l’esito del referendum e cercare nel frattempo un dialogo con le opposizioni, che però al momento rifiutano qualsiasi trattativa.
Secondo quanto trapela da ambienti della maggioranza, la decisione definitiva non sarebbe ancora stata presa, e permangono dubbi anche tra gli alleati sulla tempistica. Il confronto interno si riaccende mentre si chiude la lunga stagione di elezioni regionali autunnali: nessun cambio di colore nelle Regioni, ma variazioni significative negli equilibri politici locali, come evidenzia il caso del Veneto. Qui, fanno notare alcuni osservatori, la composizione del nuovo Consiglio regionale sarà molto diversa rispetto a cinque anni fa. Tra i meloniani c’è chi ammette che la generosità verso la Lega nelle liste venete potrebbe aver avuto un prezzo.
Dal Carroccio, però, si ribadisce che il voto regionale segue logiche diverse rispetto a quello nazionale e che il buon risultato degli amministratori leghisti — in vista delle cruciali sfide di Milano e Lombardia — dovrà pesare nella definizione dei rapporti di forza all’interno della coalizione.
Intanto, nei corridoi di Montecitorio e del Transatlantico la discussione torna con forza sulla legge elettorale. Nel centrodestra è diffusa la convinzione che l’opposizione, rafforzata dai successi recenti dei progressisti uniti, non abbia alcun interesse ad aprire un confronto. Il nodo principale riguarda i collegi uninominali, che verrebbero superati dallo schema immaginato da Giorgia Meloni e FdI.
Lucio Malan, capogruppo dei senatori di Fratelli d’Italia, conferma che l’orientamento prevalente è quello di un sistema proporzionale con un possibile premio di maggioranza. Un modello che non dispiace neppure a Forza Italia. Il portavoce azzurro Raffaele Nevi ribadisce però che il partito resta legato al principio attuale: chi ottiene più voti deve indicare il presidente del Consiglio.
Durissima la reazione delle opposizioni. Riccardo Magi (+Europa) parla di un tentativo di varare il “Meloncellum”, mentre Francesco Boccia (Pd) accusa la destra di voler “cambiare le regole per mantenere il potere”. Matteo Renzi sintetizza: “Il centrosinistra oggi prende più voti del centrodestra, e Meloni vuole modificare la legge perché teme di perdere”.
La segretaria dem Elly Schlein smentisce qualsiasi contatto con la premier sul tema: “Ci presentino un testo e lo valuteremo”. Resta da capire se ciò avverrà prima o dopo il referendum.







